lunedì 20 settembre 2010

COSA FAI PER VIVERE ED ALTRE DOMANDE FILOSOFICHE A MASSIMO DI NONNO di Raffaele Vertaldi

R.V: La prima domanda è sempre la più difficile, per cui te ne faccio tre in una. Ok, cominciamo: dove sei in questo momento? Da dove vieni? E dove stai andando?

M.D.N: In questo momento mi trovo a Milano e faccio il turista. È venuto a trovarmi mio nipote Aberto e con lui andiamo in giro per la città semi deserta. Sto dedicando il mio tempo a lui, che si è impossessato anche della mia macchina fotografica.
La settimana scorsa sono stato a Venezia, che considero una città, anzi un'isola/città, meravigliosa. Da un anno a questa parte ci vado spesso perché sto lavorando ad un progetto che riguarda il tema dell'acqua, e poi, insieme ad altri tre fotografi e in collaborazione con l'Università Ca' Foscari ed il Centro Pace di Venezia, stiamo organizzando una mostra sul concetto di attesa legato all'immigrazione.
Dove sto andando? Tra un po' esco con Alberto e andiamo alla Pinacoteca di Brera. Venerdì partirò per il Molise per rivedere la mia famiglia e partecipare al compleanno di Andrea, l’altro nipote.


La mia in verità era una domanda un po' più filosofica, del genere chi siamo, quali sono le nostre origini, dove stiamo andando...

Bene, ora mi trovo nel mezzo del cammino (ammesso che la lunghezza della mia vita sarà nella media), questa è la certezza che ho rispetto a dove sono. Per il resto è difficile dirlo, guardandola ottimisticamente direi a buon punto. E non importa  se non c'è un punto dove arrivare.
D'altronde arrivo da punti diversi. Pensavo che avrei fatto l'odontotecnico per tutta la vita a Campobasso. Invece ora sono a Milano e dico che faccio il fotografo.
Dove sarò domani? L'altra sera passavo in zona Brera e c'erano le  cartomanti, mi sarei voluto fermare e scoprirlo. Mi dispiace per te ma non l'ho fatto. Credo nel caso ma penso anche che ognuno possa in qualche modo determinare il proprio destino. In  questo momento mi sembra di avere necessità di semplicità. Poco rumore e più cose concrete.


Tornando alla tua prima risposta, e a proposito di semplicità, silenzio e concretezza, la maggior parte dei tuoi lavori è incentrata sul tema dell'acqua (mancanza/presenza della): ti sei mai soffermato ad analizzarne le ragioni? Fa tutto parte di una sorta di panta rei più generale? È un argomento che influisce anche sul metodo con cui porti avanti i tuoi progetti fotografici? O è piuttosto il tuo modus operandi a spingerti verso un elemento così fluido ed in perenne mutamento? 

La ragione è semplice: siamo circondati dall'acqua. Siamo acqua. Oggi per esempio piove a dirotto. C'è acqua in tutte le cose che ci circondano anche in quelle che apparentemente non ne contengono: un pezzo di acciaio sarà stato  raffreddato con l'acqua, tutto quello che mangiamo è composto per la maggior parte di acqua o sono serviti litri d'acqua per ottenerlo. Troppo spesso ci dimentichiamo dell'importanza di questo elemento fondamentale per la nostra esistenza.
Mi occupo di acqua sia per sensibilizzare le persone sul tema -  preservare il nostro bene più prezioso credo sia una battaglia fondamentale, nella quale mi sento coinvolto quotidianamente, - sia per ragioni “estetiche”. M’interessa esplorarne i vari aspetti. Non solo denuncia, quindi, ma anche bellezza, pericolo, mutevolezza. Come dici tu, è un elemento in perenne mutamento, e quindi può essere raccontato in innumerevoli modi. L'acqua condiziona la nostra vita. Cerco di raccontarne tutte le sue forme e implicazioni, in qualche modo adattandomi alla sua mutevolezza. In una sorta d’inseguimento in cui a volte mi sembra di perdermi e restare indietro. Intendo dire che spesso trovare la modalità e la forma migliore per raccontare l'acqua può essere complesso, meglio farsi trasportare e seguirne il corso.
L'acqua è vita e per me parlarne è vitale.






Io ho sempre considerato la terra il mio elemento di elezione, è solo di recente che ho cominciato a pensare all'acqua come una possibile declinazione dell'idea di luogo. Ultimamente ho addirittura iniziato ad associarvi la parola “casa”. Se la pronuncio, tu a cosa pensi?

Beh, immergendoci in acqua riceviamo una sensazione piacevole, in fondo è stato il nostro primo luogo, la nostra prima casa.
Per me casa è il luogo dove sto bene. Dentro o fuori voglio sentirmi a mio agio con tutte le mie idiosincrasie. Ci sono posti dove mi sento a casa ma nei quali non vivrei mai. Il silenzio mi fa sentire accolto. Due settimane fa ero a Berlino in  mezzo ad una foresta, di fianco ad un lago. Mi sono sentito in pace, a casa, ma non potrei vivere in quella dimensione a lungo. La dimensione di nomade è quella che più mi appartiene. Credo che apparteniamo a più luoghi o che più luoghi ci appartengano.


Facendo un rapido ma efficace sondaggio è venuto fuori che non tutti si ricordano della tua regione se gli si chiede di elencare quelle italiane, (un po' come il settimo nano, che manca sempre all'appello). Ora quindi una domanda un po' sleale se fatta a chi si esprime per immagini, e cioè: tu come descriveresti il Molise?

Ci sono tornato in questi giorni, ma cerco di tenermi lontano da Campobasso, la città dove sono nato, e andare in giro per stradine un pò franate, dove è difficile incontrare qualcuno. Per raccontarti la mia regione preferisco un punto di osservazione "secondario": un piccolo belvedere dal quale puoi cogliere tutti i suoi confini. Il mare a est, le montagne dell'Abbruzzo a nord, il massiccio del Matese, che ci separa dalla Campania, ad ovest, e le colline a sud che confinano con la Puglia.
Ti accosti con la macchina al ciglio della strada, spegni il motore, e subito sei circondato dal silenzio. Il vento rende piacevole anche il sole che picchia. Ai lati della strada ci sono rovi pieni di more enormi e gustose, intorno colline coperte di boschi o campi coltivati a biada. L'aria è così pulita da farti scoppiare i polmoni.
Riprendi a percorrere la stradina tutta curve e ti imbatterai in un paese arroccato su un cucuzzolo, con una poiana che lo sorvola quasi a controllare il territorio circostante. Se lo attraversi la gente ti sembrerà sospettosa, ma se ti fermi a chiedere un'informazione scoprirai una gentilezza spontanea e genuina. Insomma un luogo a tratti ancora selvaggio, dove l'antropizzazione è relegata, per fortuna, ancora a poche aree.  A volte sembra davvero rimasto com'era al tempo dei Sanniti. E forse lo spirito di questo antico popolo ancora lo anima.






Una sorta di arcadia, insomma. E però osservando il ‘tuo’ Molise non può risultare che spontaneo, per quanto ovvio, un confronto con il lavoro di Walker Evans per la FSA. Volendo approfittare del paragone, credi che la fotografia abbia ancora il compito (e sia ancora in grado) di indagare la realtà? Quale pensi dovrebbe essere in questo senso il ruolo delle commissioni pubbliche? C’è ancora spazio per qualcosa che non sia la semplice affermazione della personalità del fotografo?

La fotografia svolge un ruolo sociale. In qualsiasi forma essa venga espressa, se all'interno ha un contenuto può scuotere le coscienze, comunicando emozioni, sensibilizzando sui temi intorno ai quali la nostra società dibatte. È cambiata molto dai tempi di Evans perchè non ha fatto altro che adeguarsi ai mutamenti del mondo. Ma proprio perchè la società muta continuamente, la fotografia ha l'obbligo di documentarne le trasformazioni. Un lavoro costante di registrazione continua nel tempo.
I committenti pubblici dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale in quanto, attraverso l'uso non strumentale dell'immagine, possono registrare i mutamenti sociali e tentare efficacemente di guidarli. Sta poi alla coscienza del fotografo, e alla sua onestà, decidere se raccontare il mondo che lo circonda e del quale è parte, oppure se proiettare esclusivamente il proprio ego all'interno di una foto. Dovremmo contribuire al dibattito sulla società, non solo interpretando la realtà ma anche agendo quotidianamente nel rispetto del mondo circostante. Insomma più contenuto e meno effetti speciali.






Concordo e sottoscrivo. Un’ultima domanda solo apparentemente banale: cosa ti piacerebbe poter rispondere a chi da qui a dieci anni dovesse chiederti cosa fai per vivere?

Banalmente potrei rispondere che faccio un lavoro che mi piace molto: guardo quello che mi circonda. Mi piace perché ritengo che questo mi dia la possibilità di osservare il mondo da un'angolazione privilegiata. Rispetto ad altri lavori ho il vantaggio di poter indagare molteplici livelli della società, e non semplicemente da un punto di vista "teorico", ma essendo presente anche fisicamente. Per tornare a una risposta precedente è come essere su un colle dal quale puoi riuscire a vedere i confini che ti circondano.
E se da qui a dieci anni dovessi decidere di cambiare mestiere, spero sempre di continuare a dare il mio contributo alla società. Mi piacerebbe fare il cuoco (se non fosse un lavoro infernale). Perché cucinare bene è un modo per dare piacere agli altri.


Raffaele Vertaldi, photoeditor di IL - Intelligence in Lifestyle




4 commenti:

  1. L'ennesima bella intervista, grazie ragazzi. Continuo a sognare che si possa stimolare un confronto con altri, per esempio qui ce ne sarebbero da dire sul ruolo della committenza pubblica, per fare un esempio. Si vedrà. arianna

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. A me l'intervista pareva una buona occasione per allargare i temi dibattuti e portarci, anche solo occasionalmente e lievemente, al di fuori del semplice biografismo. È una cosa che succede abitualmente nelle conversazioni private tra fotografi e photoeditors, e penso dunque che avrebbe ancora più senso farla accadere qui, dove le persone e quindi le idee coinvolte sono potenzialmente molte di più. Per questa possibilità ringrazio ovviamente gli amici di Micro, di cui ammiro ed invidio l'impegno profuso in questo progetto.

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  4. IL rispetto che nutro nei confronti di Massimo Di Nonno è pari solamente al disprezzo che nutro nei confronti di Giuseppe Ciarrapico.

    Viva il Molise

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