mercoledì 16 febbraio 2011

ANDREA BOSCARDIN: THEY CALLED ME VANDAL, di Andrea Delle Case

A.D:  Stesso nome, stesso anno di nascita, stesse abitudini alimentari, abbiamo condiviso anche lo stesso datore di lavoro, per un periodo… Parlami di quello che hai fatto dopo l’esperienza in agenzia, del collettivo Micro e del progetto Voices from Italy?
                                                                                                                                 A.B: Andrea, 1976, vegetariano: sì, direi che abbiamo un po’ di cose in comune, alcune migliori di altre, per fortuna, certe ce le siamo lasciate alle spalle tutti e due.
Mi è sempre piaciuto occuparmi di news e per certe cose è stata una buona scuola, ma dopo le agenzie, tra lunghi e brevi periodi - in tre anni ne ho girate diverse - ho capito che quell’esperienza aveva bisogno di un’evoluzione.
Ho percepito la necessità di un cambiamento dopo il mio primo viaggio nei Balcani nel 2008; che tra l'altro ha coinciso con la fine del mio primo rapporto di collaborazione con un’agenzia.
Per due settimane ho viaggiato su un furgone attraversando Bosnia, Kosovo e Serbia con un'amica regista e con la sua troupe: per la prima volta, dopo tanto tempo, ho ricominciato a lavorare utilizzando un linguaggio di nuovo personale, non più dettato dalle regole della  singola foto, da pubblicare sul quotidiano, ma da quelle di una storia.
Micro è nato un giorno di circa un anno fa quando Arianna ed Elisabetta (Arianna Sanesi e Elisabetta Cociani, ndr.) mi hanno chiesto di partecipare a un'idea che avevano da tempo, quella di un collettivo fotografico. Diverse provenienze e diverso background ma una comune visione di fotografia e soprattutto la voglia di lavorare insieme a un progetto nuovo: questo è ciò che vedo in Micro.
Voices, che coinvolge oltre a noi altri 17 fotografi, è un ottimo esempio.





Religione, immigrazione e bombolette spray, se riducessi il tuo lavoro fotografico a queste tre voci, cosa diresti? Raccontami scelte ed evoluzioni di una ricerca.

L'appartenenza a una comunità con le sue regole, i suoi meccanismi, il suo linguaggio la sua storia. Micro mondi: se non ne fai parte molte volte non li puoi capire e quindi risulti estraneo come anche loro talvolta si sentono di fronte a tutto il resto. E tanto più è forte il distacco, tanto più forte è il senso di comunità. A volte questo produce effetti positivi o negativi: si può trasformare in ribellione, frustrazione, oppure in attaccamento a fede e fratellanza, in ogni caso è qualcosa di veramente umano e reale, soprattutto in una città come Milano, dove sono nato e cresciuto.  
Ho iniziato nel 2002 con i writers perché era il mondo dal quale provenivo io stesso, quello che vivevo quotidianamente. In seguito l'interesse crescente per il fotogiornalismo mi ha portato a concentrarmi anche su altre tematiche, come per esempio l'immigrazione. Mi sono chiesto quale potesse essere il modo migliore per entrare in contatto con le varie comunità di immigrati della mia città e la risposta l'ho travata nei luoghi di culto. Ho capito che erano un punto di aggregazione e ritrovo ideale per stranieri, quindi un buon inizio.
Uno degli ultimi lavori è quello sugli scout islamici italiani, dopo tanti anni di lavoro e di ricerca sulla comunità islamica la fiducia è tale che ormai mi trovo a lavorare come fotografo direttamente per loro.






Lombardia: cosa significa raccontarla per immagini? Cosa significa raccontare il luogo dove si vive e si lavora? Te lo chiedo pensando ai  tuoi colleghi di progetto, molti dei quali risiedono in regioni diverse da quelle che rappresentano.

Per me la Lombardia è soprattutto Milano, essere “Milanese” ed essere “Lombardo” sono due cose diverse: ci sono posti di questa regione che io definisco "profondo nord", che conosco anche abbastanza bene ma nei quali, comunque, anche io mi sento uno straniero. Non so che rapporto abbiano i miei colleghi con le loro regioni, io personalmente mi ritengo fortunato perché rappresento la regione dove vivo e lavoro e dove ogni giorno ho nuove idee


Quindi è Milano la tua piattaforma di lavoro per Voices?

Sì, perché  ci vivo e ogni giorno ricevo stimoli, idee e spunti di lavoro e poterli restituire all'esterno per me vuol dire dar voce a una parte del mio lavoro a cui tengo molto; Voices mi da questa possibilità: raccontare in modo critico e personale quello che mi è più vicino.
Ho scelto di concentrarmi sulla mia città non per comodità ma perché penso che Milano racchiuda in se l'essenza della Lombardia ma che allo stesso tempo la stia lentamente perdendo, cercandone ostinatamente una propria. 





Recentemente alla produzione fotografica hai affiancato anche una multimediale. Da cosa nasce quest'esigenza/scelta? Come le affronti? Viaggiano parallelamente o sono l'approfondimento l'una dell'altra?

Da circa un anno e mezzo sto lavorando, parallelamente alla produzione fotografica, e la realizzazione di video multimediali in cui mescolo foto, video e audio.
I primi risultati in tal senso, nati per curiosità e voglia di sperimentare, mi hanno subito rivelato che avevo un rapporto quasi naturale e spontaneo a questo tipo di linguaggio e soprattutto mi hanno aiutato a progettare il mio lavoro in modo diverso: montando anche semplici slide show di foto mi rendevo conto che stavo visualizzando le storie che volevo raccontare già come sequenza di fotogrammi e non singole immagini. Successivamente, ma sempre utilizzando attrezzatura fotografica, mi sono avvicinato al video catturandolo come se fosse "fotografia in movimento" per dare più dinamismo al montaggio e l'audio (non solo parlato ma musica, suoni, rumori) Partendo da una base fotografica, ma andando oltre attraverso il montaggio, fondo questi tre elementi e il risultato è un linguaggio nuovo che ritengo più completo, più adatto ai tempi e allo sviluppo futuro del nostro lavoro, che avrà più spazio su internet che sulla carta stampata.


Ai temi stabiliti per il progetto di Pilkinton, quale aggiungeresti? Puoi anche rispondere con una fotografia.

Se potessi aggiungere un tema sarebbe sicuramente: A day in the life. Si tratta di un progetto che porto avanti da diversi anni, è il titolo di alcuni miei lavori nonché di una sezione del mio sito e ora è diventato anche un Blog (su cui però sto ancora lavorando), sul quale pubblicherò solo materiale foto/video inerente a questo tema.
 

Per completare e spiegare meglio il mio concetto di "a day in the life" se lo ritieni opportuno non metterei una foto (che comunque è una bellissima proposta) ma un video, nel caso ti sembrasse una buona idea è questo:

 
Andrea Delle Case: ricercatore iconografico RCS periodici





3 commenti:

  1. grazie Andrea (Delle Case) per aver arricchito il nostro blog con un'altra bell'intervista. Trovo molto interessante il progetto "A day in the life", un'idea in continua evoluzione che sta prendendo molte forme, bravo Andrea (Boscardin)!

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  2. Pochi hanno capito lo sbattimento che c'è dietro questo progetto. Per questo a chi ci ha appoggiato, aiutato, intervistato, risposto, dico ancora GRAZIE!!!!

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  3. felice di aver partecipato. il merito del progetto è vostro e di come lo avete condotto fino ad ora.
    sai, non sono d'accordo con l'idea che non si percepisca lo 'sbattimento' che c'è dietro a voices from italy. chi non lo immagina è perché non vuole immaginarlo.

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