lunedì 19 luglio 2010

OGNI SCATTO E' UNA PICCOLA STORIA, IMMAGINI E PAROLE DI LORENZO GIGLIO di Paola Corapi

P.C: Ciao Lorenzo è un piacere conoscerti.
Mi racconti i tuoi inizi e il tuo percorso: come ti sei avvicinato alla fotografia?

L.G: Inizio a scattare le mie prime fotografie da bambino, compleanni e feste erano l’occasione per usare la macchina fotografica di mio padre, era davvero affascinante vedere il flash. Studio fotografia con una predilezione per il bianco e nero, non a caso passavo le mie giornate a scattare e le nottate a stampare. Inizio a lavorare in un’agenzia fotografica come account executive, mentre di sera frequento l’istituto R. Bauer. Raggiunta la specializzazione decido di cambiare vita e di fare il fotografo lasciandomi tutto alle spalle: lavoro, casa e fidanzata.


Navigando sul sito di Voices from Italy mi sono soffermata più volte sulla tua foto, quella stazione ferroviaria, quei ragazzi quasi in un’altra dimensione temporale, dove nasce l’idea del tuo progetto The Border? stai pensando o realizzando dei nuovi progetti? Quali?

The Border è un lavoro che sento molto vicino, l’intento è quello di cercare un legame tra le periferie e le persone che le vivono,  persone "non etichettabili", non riconoscibili, per tentare di ritrarle in luoghi a loro vicini tentando di raccontare ciò che questi evocano. Ho scelto le periferie in quanto apparentemente anonime per cercare di coglierne la peculiarità. Ogni scatto è una piccola storia, la coppia di  emigranti che si deve separare: lui ha trovato lavoro a  Milano e lei a Firenze; una psicologa che si occupa di assistenza domiciliare dei minori. Sono storie da “osservare” che vale la pena “raccontare”.





Inoltre sto realizzando un video docufoto fiction sui travellers irlandesi insieme ad altri due fotografi, il mio primo lavoro collettivo, da cui ho imparato l’importanza di lavorare anche in gruppo. “In questa foto puoi vedere un traveler con i suoi cavalli e puoi cogliere la contrapposizione tra la libertà di una corsa limitata da un’area circoscritta”.




Qual è il tuo legame con la Basilicata? le foto che descrivono questa regione cosa evocano?

Il mio legame con la Basilicata è molto forte, sono figlio di emigranti lucani. Durante l’infanzia ho passato i mesi delle vacanze estive dai nonni a Laurenzana PZ. Ero libero e l’unica regola da rispettare era l’ora del pranzo e della cena. Giocavo a nascondino, camminavo nei boschi, mi tuffavo nel fiume, giocavo a calcio. Una delle immagini più belle che mi porto dentro è il sorriso di mia mamma, che ho perso alcuni anni fa, i suoi occhi sereni e brillanti, un’immagine legata a quei luoghi e a quei momenti.


Quali fotografi del passato, o ancora in vita, hanno influenzato maggiormente il tuo modo di fotografare? E quali ammiri in modo particolare?

È difficile rispondere a questa domanda com’è difficile indicare con un solo nome il tipo di linguaggio fotografico che mi ha influenzato maggiormente. Trovare uno stile e identificarsi con esso è forse la parte più complessa da costruire, dinstinguersi con un punto di vista sul mondo è probabilmente un obiettivo che si raggiunge nel tempo, con l’esperienza e la sperimentazione. In ogni caso se devo pensare a un nome nella storia della fotografia penso a Luigi Ghiri.


Ti va di scegliere uno scatto dal tuo portfolio e di raccontarmi “quanto c’è di Lorenzo dentro”?

Volentieri. Si tratta di uno scatto prodotto per un lavoro accademico dal titolo “anima e carne” realizzato durante il periodo di studi alla Bauer.
Il tema che ho affrontato è quello della “mattanza del maiale”, l’ho realizzato in Basilicata, dove si pratica abitualmente. All’inizio ho scelto questa storia con l’obiettivo di documentarne l’usanza, ma seguendo passo per passo le persone nella pratica della mattanza, mi sono reso conto che non  stavo raccontando soltanto dei fatti, ma stavo entrando in contatto con la tradizione di un rito scandito da diversi momenti: accudimento nella crescita, accompagnamento alla morte e trasformazione in qualcosa di diverso, ma ancora utile. Sembra un paradosso ma la mattanza racchiude in sé una sorta di umanità che giustifica e rende sopportabile la morte del maiale stesso.
Forse è la tradizione mista alla compassione e all’umanità con cui si raggiunge uno scopo, direi che è questo l’aspetto in cui trovo una parte di me.




Paola Corapi, photoeditor di First


2 commenti:

  1. Altra bella intervista. Un grazie di cuore a Paola e tutti quelli che, come lei, si sono interessati al progetto e ci aiutano a far sì che venga il più bello e partecipato possibile.

    RispondiElimina
  2. Grazie Paola, intervista molto bella. Mi ha colpito in particolare l'ultima domanda, tra l'altro la foto scelta da Lorenzo mi è sempre piaciuta, mi aveva impressionato molto ai tempi della scuola e continua a farlo, la luce è meravigliosa!

    RispondiElimina