sabato 26 febbraio 2011

EL MIRADOR: OSTINATO NON RIEDUCABILE. INTERVISTA A MAURO CORINTI, di Luca Ciambellotti


L.C: Mauro Corinti, trent'anni, abruzzese di nascita, studi di fotografia a Roma e attualmente diviso tra l'Italia e il Messico per un progetto, come dici tu, di “lunga durata”. Come è stato fotografare per Voices from Italy la tua terra d'origine in un momento in cui la tua attività professionale si svolge soprattutto in Messico?
 
M.C: In verità sono nato e cresciuto in una piccola frazione nelle Marche, a pochi chilometri dall'Abruzzo. Da casa riuscivo a vedere i rilievi delle montagne Gemelle e la catena montuosa del Gran Sasso all'orizzonte. Un territorio affascinante, simile a un paesaggio alpino che degrada fino al mare, mescolandosi con le Marche e generando lungo quella linea immaginaria una sorta di tradizione comune, tipica delle realtà di confine. Alla fotografia invece mi sono avvicinato dopo aver lavorato per alcuni anni a progetti nei settori dell'immigrazione e del disagio sociale a Roma e nel bolognese. Solo dopo quest'esperienza ho avuto l'esigenza di uno sfogo, di dominare le emozioni o semplicemente quella sensazione chiamiamola di burnout. Dopo gli studi alla Scuola Romana di Fotografia ho deciso di pianificare un viaggio lontano da tutto quello che già conoscevo, una sorta di master intensivo e così è nato il progetto in Messico.
Per quanto riguarda invece il progetto Voices per la regione Abruzzo, proposto dal collettivo MICRO, ho accettato subito con molto entusiasmo e una sincera voglia di riscoprire il mio paese, sviluppando una visione fotografica specifica di una regione che stava appena uscendo dal dramma del terremoto. Per me la parte più complicata senza dubbio è stata trovare, fra i temi assegnati, una linea guida che non cadesse nel banale, perché credo che il compito di un osservatore attento sia proprio di trovare una chiave di lettura, una giusta interpretazione.





Lasciare l'Italia è stato un impulso o una scelta professionale ragionata? E in Messico a cosa stai lavorando?


Le scelte impulsive in qualche modo avviano quel meccanismo che obbliga a riflettere per trovare una soluzione utile, dunque sono passato dall'impulsività a una soluzione ragionata. Il progetto in Messico è stato ispirato dal desiderio di realizzare un lavoro indipendente su un Paese che suscita in me da sempre grande curiosità. Ho iniziato a scavare per conoscerlo meglio. Il Messico è considerato uno dei classici luoghi "complicati" fotograficamente parlando, ultimamente anche a causa dell'incredibile ondata di violenza generata della guerra tra i cartelli della droga nel nord del Paese, ma anche e soprattutto per una mala reputazione che con il tempo ha associato il mezzo fotografico a un concetto scomodo e pericoloso, dunque il paese non si lascia scoprire molto volentieri. Ho scelto quindi di lavorarci partendo dall'inizio, ovvero dallo Stato del Chiapas, conosciuto forse solo per i movimenti militarizzati delle EZLN e per le numerose comunità indigene Maya presenti. Ho trascorso gli ultimi due anni collaborando con diverse riviste e quotidiani messicani, alcune testate italiane, trattando e proponendo temi d'attualità. In costante evoluzione e ricerca fotografica mi sono sforzato di delineare i contorni e il carattere della regione, e posso dire con soddisfazione di essere giunto quasi alla conclusione di questo lungo ed estenuante lavoro.





Pensi sia più facile lavorare all'estero che in Italia?

Credo sia difficile lavorare in generale! In Italia la questione si complica quando si cerca di proporre qualcosa di nuovo. Il Paese è ancora in una fase transitoria, con l'editoria a cavallo fra cartaceo e multimediale; si fatica a smuovere quel meccanismo di giornalismo partecipativo capace di sostenere finanziariamente progetti fotografici indipendenti. Il panorama fotografico italiano è talentuoso e giovane, nonostante l'insieme dei meccanismi selettivi che generano una catena infinita di ostacoli che ogni fotografo deve essere in grado di superare per continuare nel proprio lavoro. All'estero il metodo di valutazione è differente, forse meno superficiale... Resta sempre complicato competere e inserirsi professionalmente, tuttavia sono riuscito a ritagliarmi un mio spazio nell'editoria messicana ed è stato soprattutto gratificante offrire un'interpretazione personale nella quale gli editori si sono riconosciuti.


Che importanza ha il reportage nel tuo lavoro, come lo vedi e come lo vivi?


Il reportage rappresenta un efficace linguaggio in continua evoluzione stilistica. Nel lavoro lo vivo in maniera positiva, grazie anche alle numerose applicazioni che abbiamo a disposizione oggi offre davvero la possibilità di produrre e proporre documentari di qualità





Vorrei che mi dicessi, anche attraverso una metafora, cosa è per te la fotografia...


Passione e testardaggine! Credo siano sufficienti questi due termini, dove la passione sta per l'anima che ti spinge ad avvicinarti a questo mestiere, accettando spesso tanti, troppi compromessi e la testardaggine per l'incorreggibile ostinazione che continua a spingerti in questa direzione.



Il progetto Voices from Italy si è da poco concluso con la pubblicazione della sezione dal tema: "The Italian Miracle" di cui tu, per l'Abruzzo, hai dato un'interpretazione velatamente ironica: la sede di un partito politico, la Lega nord, ospitata in un container. Suggestivo come miracolo italiano, non trovi? 

Da troppo tempo l'Italia è l'interpretazione velatamente ironica di se stessa. Assistiamo quotidianamente alle contraddizioni di una politica teatrale proiettata in mondovisione senza la minima vergogna. Ho scelto quella foto perché oltre a rispecchiare l'animo spartano della Lega nord rappresenta anche il paradosso della crescita del consenso elettorale nel centro-sud italia: sostegno a progetti “italici” per l'indipendenza padana; un partito italiano secessionista che riesce a riunire e rappresentare la maggioranza del paese!




 

Puoi fornirci qualche anticipazione sui tuoi prossimi lavori
 
Ho diversi progetti in cantiere, da sviluppare sia in Italia che in Abruzzo ma per ora sono impegnato nella conclusione del lavoro in Messico. Organizzare, rielaborare, editare la raccolta di immagini realizzate negli ultimi due anni, cercando di descrivere attraverso il ritratto contemporaneo del Chiapas, inteso come "la porta di ingresso" del Messico, gli aspetti e le problematiche presenti nel Paese.

Luca Ciambellotti, giornalista e blogger 

 


mercoledì 16 febbraio 2011

ANDREA BOSCARDIN: THEY CALLED ME VANDAL, di Andrea Delle Case

A.D:  Stesso nome, stesso anno di nascita, stesse abitudini alimentari, abbiamo condiviso anche lo stesso datore di lavoro, per un periodo… Parlami di quello che hai fatto dopo l’esperienza in agenzia, del collettivo Micro e del progetto Voices from Italy?
                                                                                                                                 A.B: Andrea, 1976, vegetariano: sì, direi che abbiamo un po’ di cose in comune, alcune migliori di altre, per fortuna, certe ce le siamo lasciate alle spalle tutti e due.
Mi è sempre piaciuto occuparmi di news e per certe cose è stata una buona scuola, ma dopo le agenzie, tra lunghi e brevi periodi - in tre anni ne ho girate diverse - ho capito che quell’esperienza aveva bisogno di un’evoluzione.
Ho percepito la necessità di un cambiamento dopo il mio primo viaggio nei Balcani nel 2008; che tra l'altro ha coinciso con la fine del mio primo rapporto di collaborazione con un’agenzia.
Per due settimane ho viaggiato su un furgone attraversando Bosnia, Kosovo e Serbia con un'amica regista e con la sua troupe: per la prima volta, dopo tanto tempo, ho ricominciato a lavorare utilizzando un linguaggio di nuovo personale, non più dettato dalle regole della  singola foto, da pubblicare sul quotidiano, ma da quelle di una storia.
Micro è nato un giorno di circa un anno fa quando Arianna ed Elisabetta (Arianna Sanesi e Elisabetta Cociani, ndr.) mi hanno chiesto di partecipare a un'idea che avevano da tempo, quella di un collettivo fotografico. Diverse provenienze e diverso background ma una comune visione di fotografia e soprattutto la voglia di lavorare insieme a un progetto nuovo: questo è ciò che vedo in Micro.
Voices, che coinvolge oltre a noi altri 17 fotografi, è un ottimo esempio.





Religione, immigrazione e bombolette spray, se riducessi il tuo lavoro fotografico a queste tre voci, cosa diresti? Raccontami scelte ed evoluzioni di una ricerca.

L'appartenenza a una comunità con le sue regole, i suoi meccanismi, il suo linguaggio la sua storia. Micro mondi: se non ne fai parte molte volte non li puoi capire e quindi risulti estraneo come anche loro talvolta si sentono di fronte a tutto il resto. E tanto più è forte il distacco, tanto più forte è il senso di comunità. A volte questo produce effetti positivi o negativi: si può trasformare in ribellione, frustrazione, oppure in attaccamento a fede e fratellanza, in ogni caso è qualcosa di veramente umano e reale, soprattutto in una città come Milano, dove sono nato e cresciuto.  
Ho iniziato nel 2002 con i writers perché era il mondo dal quale provenivo io stesso, quello che vivevo quotidianamente. In seguito l'interesse crescente per il fotogiornalismo mi ha portato a concentrarmi anche su altre tematiche, come per esempio l'immigrazione. Mi sono chiesto quale potesse essere il modo migliore per entrare in contatto con le varie comunità di immigrati della mia città e la risposta l'ho travata nei luoghi di culto. Ho capito che erano un punto di aggregazione e ritrovo ideale per stranieri, quindi un buon inizio.
Uno degli ultimi lavori è quello sugli scout islamici italiani, dopo tanti anni di lavoro e di ricerca sulla comunità islamica la fiducia è tale che ormai mi trovo a lavorare come fotografo direttamente per loro.






Lombardia: cosa significa raccontarla per immagini? Cosa significa raccontare il luogo dove si vive e si lavora? Te lo chiedo pensando ai  tuoi colleghi di progetto, molti dei quali risiedono in regioni diverse da quelle che rappresentano.

Per me la Lombardia è soprattutto Milano, essere “Milanese” ed essere “Lombardo” sono due cose diverse: ci sono posti di questa regione che io definisco "profondo nord", che conosco anche abbastanza bene ma nei quali, comunque, anche io mi sento uno straniero. Non so che rapporto abbiano i miei colleghi con le loro regioni, io personalmente mi ritengo fortunato perché rappresento la regione dove vivo e lavoro e dove ogni giorno ho nuove idee


Quindi è Milano la tua piattaforma di lavoro per Voices?

Sì, perché  ci vivo e ogni giorno ricevo stimoli, idee e spunti di lavoro e poterli restituire all'esterno per me vuol dire dar voce a una parte del mio lavoro a cui tengo molto; Voices mi da questa possibilità: raccontare in modo critico e personale quello che mi è più vicino.
Ho scelto di concentrarmi sulla mia città non per comodità ma perché penso che Milano racchiuda in se l'essenza della Lombardia ma che allo stesso tempo la stia lentamente perdendo, cercandone ostinatamente una propria. 





Recentemente alla produzione fotografica hai affiancato anche una multimediale. Da cosa nasce quest'esigenza/scelta? Come le affronti? Viaggiano parallelamente o sono l'approfondimento l'una dell'altra?

Da circa un anno e mezzo sto lavorando, parallelamente alla produzione fotografica, e la realizzazione di video multimediali in cui mescolo foto, video e audio.
I primi risultati in tal senso, nati per curiosità e voglia di sperimentare, mi hanno subito rivelato che avevo un rapporto quasi naturale e spontaneo a questo tipo di linguaggio e soprattutto mi hanno aiutato a progettare il mio lavoro in modo diverso: montando anche semplici slide show di foto mi rendevo conto che stavo visualizzando le storie che volevo raccontare già come sequenza di fotogrammi e non singole immagini. Successivamente, ma sempre utilizzando attrezzatura fotografica, mi sono avvicinato al video catturandolo come se fosse "fotografia in movimento" per dare più dinamismo al montaggio e l'audio (non solo parlato ma musica, suoni, rumori) Partendo da una base fotografica, ma andando oltre attraverso il montaggio, fondo questi tre elementi e il risultato è un linguaggio nuovo che ritengo più completo, più adatto ai tempi e allo sviluppo futuro del nostro lavoro, che avrà più spazio su internet che sulla carta stampata.


Ai temi stabiliti per il progetto di Pilkinton, quale aggiungeresti? Puoi anche rispondere con una fotografia.

Se potessi aggiungere un tema sarebbe sicuramente: A day in the life. Si tratta di un progetto che porto avanti da diversi anni, è il titolo di alcuni miei lavori nonché di una sezione del mio sito e ora è diventato anche un Blog (su cui però sto ancora lavorando), sul quale pubblicherò solo materiale foto/video inerente a questo tema.
 

Per completare e spiegare meglio il mio concetto di "a day in the life" se lo ritieni opportuno non metterei una foto (che comunque è una bellissima proposta) ma un video, nel caso ti sembrasse una buona idea è questo:

 
Andrea Delle Case: ricercatore iconografico RCS periodici





lunedì 14 febbraio 2011

LENSCRATCH, SITES OF INTEREST




E' un onore essere stati menzionati su Lenscratch, blog curato da Aline Smithson. Il suo punto di vista è sempre sorprendente, mai scontato.

lunedì 7 febbraio 2011

THE ITALIAN MIRACLE

Siamo giunti alla fine del nostro progetto,
è online l'ultimo tema "The Italian Miracle".
Un grazie a chi ha partecipato e a chi fin qui ci ha seguito!